Per le aziende produttrici dei dispositivi medici tra i cui clienti c’è l’Emilia Romagna, si presenta un problema non da poco. La Regione ha infatti avanzato una richiesta di 170,4 milioni di euro, a titolo di saldo per il payback del periodo 2015-2018. Si tratta della quota legata allo sforamento del tetto di spesa per la voce sull’acquisto di strumenti di diagnosi e cura, destinata a ricadere sulle aziende.
Una normativa risalente al 2011, quando è stato fissato un limite alla spesa per i dispositivi medici, a livello regionale ma anche nazionale. Secondo il testo della legge, in caso di superamento, spetta alla Regione coprire i costi in accesso.
Tuttavia, alcuni anni dopo, nel 2015, una modifica ha stabilito di ricaricarne una parte sulle aziende produttrici, per una quota fino al 50%. Una cifra non da poco, per il solo periodo 2015-2018 stimata intorno al miliardo di euro. Anche se la partita non è ancora chiusa, finora a nulla è servita una serie di ricorsi presentati al TAR del Lazio; la Corte Costituzionale ne ha confermato la legittimità.
Confindustria non ci sta
Facile intuire, alle imprese la situazione non è per nulla gradita. Ancora di più, alla luce della mossa decisa dalla Regione Emilia Romagna. «La richiesta di pagamento immediato del payback mette in grave difficoltà le imprese dei dispositivi medici, molte delle quali a rischio chiusura – lamenta Nicola Barni. Presidente di Confindustria dispositivi medici -. Facciamo appello a Governo e Regioni affinché non seguano l’esempio con altri provvedimenti regionali simili sul payback».
La prospettiva è di peggiorare ulteriormente la già delicata situazione dei diretti interessati ma anche della Giustizia, considerata la prospettiva di migliaia di ulteriori ricorsi al TAR. Senza naturalmente dimenticare le potenziali ricadute sull’intero settore.
Prontamente, Confindustria dispositivi medici ha inviato una lettera alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, ai ministeri competenti, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e alla Presidenza del Consiglio per scongiurare che altre regioni replichino la richiesta dell’Emilia Romagna e si attenda la prima udienza di merito del TAR del Lazio prevista per il prossimo 25 febbraio.
«Le imprese del settore si trovano a fronteggiare non solo un ulteriore aggravio di costi legati a nuovi ricorsi amministrativi, ma soprattutto il rischio concreto di chiusura per molte piccole e medie realtà – prosegue Barni -. Apprendiamo con favore l’appello della Regione Emilia Romagna alla cancellazione immediata di questa assurda legge e proprio per questo motivo fatichiamo a comprendere come questa Regione abbia potuto attuare tale provvedimento senza attendere il Tar del Lazio».